Ritratto di famiglia nazionale: Bianco, Rosso e Verdone

Non è certo facile, realizzare una pellicola che racconti un intero paese, attraverso un singolo, istrionico mattatore.
Ne sono consapevoli Carlo Verdone e Sergio Leone, due tra le menti dietro al film Bianco, Rosso e Verdone, road movie che ha come punto focale la giornata elettorale in un fine settimana estivo.
Si intrecciano quindi le storie di tre personaggi, tutti interpretati dal grande attore romano, dalle personalità totalmente diverse ma con il medesimo obiettivo: raggiungere le loro città d'origine per partecipare alle votazioni.
Tra un imprevisto e l'altro, i tre faranno da cantori per gli umori e le abitudini dell'italiano dell'epoca, rappresentandone vizi, virtù e ingenuità fino al fatidico momento della votazione finale.
Il tutto tra le risate degli spettatori.
Furio Zoccano è un gran rompic un impiegato statale romano, che vive a Torino con la moglie Madga e i figli Antonluca e Antongiulio, e parte per Roma per votare.
Saccente, logorroico, terribilmente preciso, maniacale ai limiti della sanità mentale, porta la moglie sull'orlo di una crisi di nervi, con conseguenze (parzialmente) inaspettate.
Pasquale è un italiano originario di Matera che vive in Germania Ovest con la moglie tedesca.
Tonto e spendaccione, fanatico di calcio e assai "burino", dovrà affrontare un rientro in patria tutto fuorché sereno.
Mimmo è un giovanotto dall'ingenuità disarmante, diretto a Verona (o era Vicenza?) per accompagnare la nonna a Roma per votare.
Tra un giro di medicinali e un gran numero di soste, i due passeranno il tempo a bisticciare e fare pace.
Al di là delle "maschere" portate sullo schermo dall'attore, che risultano sempre spassose e azzeccate, il film, nell'ottica del nostro progetto, si rivela particolarmente utile per avere un'inquadratura ancor più precisa del periodo storico in Italia, degli umori e delle linee di pensiero dell'epoca.
Traspare nuovamente quel senso di scetticismo e disillusione già intravisto in un paio d'altre opere di nemmeno un anno prima, soprattutto giunti al momento conclusivo della votazione in seggio, dove i personaggi (soprattutto Mimmo e Pasquale) "mutano" in metafore del rapporto incrinato tra il Paese e i suoi abitanti in quello specifico periodo storico.
La frase finale di Pasquale, rimasto in silenzio per tutto il film, per quanto molto "pragmatica" è la rappresentazione più cruda e realistica possibile del malcontento popolare, e la sua locazione, subito dopo le vicende della nonna e di Mimmo, e in chiusura di pellicola, crea un rapporto causa/effetto perfetto tra gli errori dei rappresentanti dello Stato e le reazioni del popolo.
Quindi commedia sì, ma con una grande attenzione all'attualità, e la capacità di far ridere e sorridere alla faccia del clima di amarezza.

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