The Blues Brothers: nostalgia della nostalgia
Provoca, oggi, un interessante paradosso, The Blues Brothers, pellicola più che cult diretta da John Landis e interpretata da John Belushi e Dan Aykroyd, qui nei panni dei due fratelli "Joliet" Jake e Elwood Blues, già portati al successo negli sketch del Saturday Night Live.
Provoca un paradosso perché, in quanto film di culto con quasi quarant'anni sulle spalle, è una di quelle opere che suscitano immediatamente una fortissima sensazione di nostalgia, di bei ricordi del passato, di un cinema dei tempi che furono (con attori che furono e, purtroppo, non sono più); tuttavia la sua stessa spina dorsale è una solida colonna di nostalgia per tempi ancora più remoti, i tempi del blues e del soul, e ogni fibra del suo essere è strettamente legata al ricordo, alla voglia di rivivere tempi passati.
Jake e Elwood, due fratelli cantanti blues, vogliono salvare dalla chiusura l'orfanotrofio (luogo d'infanzia, di ricordi dei tempi di gioventù) dove sono cresciuti, e dove il vecchio amico Curtis (la leggenda del jazz Cab Calloway) ha aperto loro gli occhi sulla musica di una volta (il "passaparola": il tramandare alle nuove generazioni le culture più "antiche").
Per farlo, dovranno riunire la loro vecchia band (reunion di vecchi amici, ancora: ricordi dei tempi andati) e riuscire a mettere insieme 5.000 dollari con i loro spettacoli (successo di pubblico, come succedeva ai vecchi tempi).
Il tutto sfuggendo alla polizia, a un gruppo di cantanti country e western (il west, la "vecchia America"), a dei Nazisti dell'Illinois (nostalgia per vecchie cose brutte, ma pure i "vecchi nemici" dell'America della libertà dell'uomo, visto che i "nemici attuali", ai tempi, erano invece i Comunisti, senza contare che il pericolo, qui, era reale, visto che girava, e gira ancora oggi, davvero un partito nazista americano) e a una vecchia fiamma di Jake, abbandonata all'altare (d'altronde il matrimonio non è visto forse come la fine delle "libertà di gioventù", soprattutto per l'uomo?).
La nostalgia non è, però, "mitizzata", ma affrontata con una certa consapevolezza: la consapevolezza che restarvici troppo attaccati, quasi ostinatamente, rischia di portare più grane che altro, ed è per questo che i protagonisti sono degli eterni cacciatori di guai, volenti o nolenti, e per quanto il loro piano sia efficace, viene messo in atto in una maniera talmente complicata e scapestrata da restare sul filo del rasoio fino all'ultimo.
In una scena, viene chiesto loro perché non smettono di vestirsi da becchini e non indossano un paio di blue jeans come fanno tutti i cantanti del mondo e, ironia della sorte, per un motivo o per l'altro, nel finale, si ritrovano finalmente a indossarli, questi jeans, segno, probabilmente, che sì, i bei tempi sono meravigliosi e indimenticabili, ma bisogna necessariamente sapersi adattare, senza, per questo, abbandonare ciò a cui si è affettivamente legati.
Tutti questi discorsi sulla nostalgia non possono e non devono, però, sviare l'attenzione da quella che è e rimane una divertentissima commedia con due dei comici più amati e gettonati dei loro anni, una commedia fatta di comicità surreale in cui eventi catastrofici di ogni ordine e grado lasciano comunque imperscrutabili i due protagonisti, così impenetrabili coi loro abiti bianchi e neri e i loro occhiali da sole a nasconderne gran parte delle espressioni.
Ed è affascinante come queste due figure così "distaccate" dal mondo vengano fatte interagire con ciò che li circonda, sfruttando sagge inquadrature e usi del colore: emblematica è la scena della chiesa di James Brown, dove i due fratelli di bianco e nero vestiti, completamente privi di idee sul come racimolare il denaro necessario e scettici sull'eventualità di una riuscita del loro proposito, sono in netto contrasto cromatico con i coloratissimi partecipanti alla messa, con il coloratissimo coro e con i coloratissimi abiti del reverendo, e questa differenza porta "Joliet" Jake alla famosa "illuminazione", dovuta all'influenza della "positività della musica" nei loro cuori.
Altra scena importante, in questo senso, è il tentativo di "abbordaggio" di Elwood alla stazione di servizio: quando Jake si accorge che è tardissimo, raggiunge suo fratello, gli dà una pacca e gli dice di sbrigarsi, ed Elwood risponde con un semplicissimo urletto di dolore; nel mentre, sullo sfondo c'è un'immagine di Stanlio e Ollio, altri esempi di icone dei "tempi che furono", protagonisti di storie dove spessissimo il membro del duo (di persone vestite uguali e sovente eleganti, peraltro) più rotondetto prendeva a scapaccioni quello più magro e alto.
Provoca un paradosso perché, in quanto film di culto con quasi quarant'anni sulle spalle, è una di quelle opere che suscitano immediatamente una fortissima sensazione di nostalgia, di bei ricordi del passato, di un cinema dei tempi che furono (con attori che furono e, purtroppo, non sono più); tuttavia la sua stessa spina dorsale è una solida colonna di nostalgia per tempi ancora più remoti, i tempi del blues e del soul, e ogni fibra del suo essere è strettamente legata al ricordo, alla voglia di rivivere tempi passati.
Jake e Elwood, due fratelli cantanti blues, vogliono salvare dalla chiusura l'orfanotrofio (luogo d'infanzia, di ricordi dei tempi di gioventù) dove sono cresciuti, e dove il vecchio amico Curtis (la leggenda del jazz Cab Calloway) ha aperto loro gli occhi sulla musica di una volta (il "passaparola": il tramandare alle nuove generazioni le culture più "antiche").
Per farlo, dovranno riunire la loro vecchia band (reunion di vecchi amici, ancora: ricordi dei tempi andati) e riuscire a mettere insieme 5.000 dollari con i loro spettacoli (successo di pubblico, come succedeva ai vecchi tempi).
Il tutto sfuggendo alla polizia, a un gruppo di cantanti country e western (il west, la "vecchia America"), a dei Nazisti dell'Illinois (nostalgia per vecchie cose brutte, ma pure i "vecchi nemici" dell'America della libertà dell'uomo, visto che i "nemici attuali", ai tempi, erano invece i Comunisti, senza contare che il pericolo, qui, era reale, visto che girava, e gira ancora oggi, davvero un partito nazista americano) e a una vecchia fiamma di Jake, abbandonata all'altare (d'altronde il matrimonio non è visto forse come la fine delle "libertà di gioventù", soprattutto per l'uomo?).
La nostalgia non è, però, "mitizzata", ma affrontata con una certa consapevolezza: la consapevolezza che restarvici troppo attaccati, quasi ostinatamente, rischia di portare più grane che altro, ed è per questo che i protagonisti sono degli eterni cacciatori di guai, volenti o nolenti, e per quanto il loro piano sia efficace, viene messo in atto in una maniera talmente complicata e scapestrata da restare sul filo del rasoio fino all'ultimo.
In una scena, viene chiesto loro perché non smettono di vestirsi da becchini e non indossano un paio di blue jeans come fanno tutti i cantanti del mondo e, ironia della sorte, per un motivo o per l'altro, nel finale, si ritrovano finalmente a indossarli, questi jeans, segno, probabilmente, che sì, i bei tempi sono meravigliosi e indimenticabili, ma bisogna necessariamente sapersi adattare, senza, per questo, abbandonare ciò a cui si è affettivamente legati.
Dettaglio divertente: nella versione italiana, il commentatore dell'incontro di wrestling nel mini-schermo chiama uno dei due lottatori "Inoki" |
Ed è affascinante come queste due figure così "distaccate" dal mondo vengano fatte interagire con ciò che li circonda, sfruttando sagge inquadrature e usi del colore: emblematica è la scena della chiesa di James Brown, dove i due fratelli di bianco e nero vestiti, completamente privi di idee sul come racimolare il denaro necessario e scettici sull'eventualità di una riuscita del loro proposito, sono in netto contrasto cromatico con i coloratissimi partecipanti alla messa, con il coloratissimo coro e con i coloratissimi abiti del reverendo, e questa differenza porta "Joliet" Jake alla famosa "illuminazione", dovuta all'influenza della "positività della musica" nei loro cuori.
Altra scena importante, in questo senso, è il tentativo di "abbordaggio" di Elwood alla stazione di servizio: quando Jake si accorge che è tardissimo, raggiunge suo fratello, gli dà una pacca e gli dice di sbrigarsi, ed Elwood risponde con un semplicissimo urletto di dolore; nel mentre, sullo sfondo c'è un'immagine di Stanlio e Ollio, altri esempi di icone dei "tempi che furono", protagonisti di storie dove spessissimo il membro del duo (di persone vestite uguali e sovente eleganti, peraltro) più rotondetto prendeva a scapaccioni quello più magro e alto.
The Blues Brothers è, dunque, la spassosa storia di due imperturbabili fratelli fermamente convinti di voler vivere nei tempi che furono, indipendentemente da quanto il mondo esploda intorno a loro, sia che si tratti di musica e danze, sia che si tratti di auto che vanno a schiantarsi e palazzi che esplodono.
Impossibile non provare simpatia per loro, anche per via della straordinaria colonna sonora, ricchissima di brani meravigliosi a cui si finisce subito per fare l'orecchio e che rimangono fissi in testa per lungo tempo.
Autentici evergreen, nonostante fossero già "vecchi" ai tempi in cui questo "vecchio film" è stato girato.
Ma forse va bene così.
Forse i fratelli blues esistono per ricordarci che, anche se i tempi cambiano e noi siamo "costretti" a cambiare con loro, c'è sempre posto per ciò che abbiamo amato in passato, se siamo abbastanza capaci da non far sì che questa nostalgia ci divori troppo.
Un'opera, in un certo senso, non dissimile da Stranger Things: il suo scopo principale è far rivivere emozioni passate con una cornice particolarmente iconica e nostalgica, ma con una narrativa e un'esecuzione al passo coi tempi.
"Al passo coi tempi", in questo caso, però, è il 1980.
E allora via, a godersi questa "nostalgia nella nostalgia", che ci ricorda quanto sia importante saper amalgamare bene passato e presente, in modo da poter realizzare autentici miracoli.
Cose che capitano, quando si è in missione per conto di Dio.
Cose che capitano, quando si è in missione per conto di Dio.
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