Akira: futuro prossimo e ribellione cyberpunk
Siamo nel lontanissimo anno 2019.
La città di Tokyo, ricostruita dopo una devastante esplosione che ha dato il via alla conclusasi Terza Guerra Mondiale, si appresta ad ospitare delle improbabili Olimpiadi in Giappone nel 2020, nonostante la corruzione, la violenza e la depravazione stiano distruggendo sia i quartieri più malfamati che la più elevata classe politica.
Assurdo, vero?
Shotaro Kaneda e la sua banda di studenti motociclisti pattugliano le strade lanciandosi in risse a piedi e su ruote con le gang rivali, ignari del fatto che presto si ritroveranno coinvolti in un'operazione segreta che potrebbe mettere in pericolo il destino del pianeta...
E di punizioni corporali, in Akira, ce n'è a bizzeffe, tra corpi di polizia che applicano la regola del manganello prima di tutto e le risse tra bande che vanno in scena a suon di roncolate in faccia e ruote sugli arti.
Parolacce in inglese scritte ovunque sui muri, vecchi juke-box che suonano i Doors, palesi prese in giro delle autorità babbee: tutto in Akira è straordinariamente punk (lo so, i Doors non fanno punk, ma ci siamo capiti) e trasuda di un senso di liberazione dalle antiche convenzioni e costrizioni della sacra tradizione giapponese (di cui peraltro è composta gran parte della colonna sonora, fatta di musiche che sembrano uscite dal teatro Noh), un'autentica sfida a quei "grandi" che sanno solo mettere bavagli alle generazioni più giovani, rovinandone il potenziale e causandone la degenerazione per poi lamentarsi di quella stessa degenerazione dandone la sola colpa ai giovani stessi.
Si dice che i peccati dei padri ricadano sui figli, ed è esattamente questo il succo: come si può pretendere che una generazione che guarda alle meraviglie del mondo con occhi brillanti non combatta in tutti i modi per ribellarsi, se questo mondo (di possibilità, culture, curiosità, avventure) gli viene negato da persone che non capiscono l'ampiezza della visione contemporanea perché sono troppo vecchie (più dentro che fuori), troppo chiuse, troppo ancorate a concetti che non si possono applicare alle nuove generazioni?
Qualunque popolazione che veda i suoi diritti negati senza consenso si ribellerà, e la ribellione è sempre, in un modo o nell'altro, violenta, e in proporzione a quanto violenta è l'oppressione.
Questa spirale discendente porta sempre alla nascita di individui identificati come "deboli" a causa della loro naturale sensibilità, del loro contesto personale, del loro carattere, che spesso si ritrovano a un bivio tra una degenerazione più marcata e incontrollata rispetto ai loro simili e il venire fagocitati da un mondo troppo incompatibile con la loro natura, e questo ha come conseguenze gli episodi più sanguinosi di ribellione giovanile: d'altronde, quante stragi sono state perpetrate da persone la cui fragilità è stata spinta talmente allo stremo dal causare non una rottura, ma un'esplosione?
Ed è proprio questa la fonte di tutti i guai, in Akira: cosa succede se in una società come quella si sviluppa una "mina vagante" pronta a esplodere appena innescata?
Il problema è sempre lì, sia nel 2019 reale che in quello fantascientifico del film anime in esame: i ruoli di massima importanza, nella società, che si tratti di classe politica, istruzione, o gerarchie di lavoro più elevate, sono svolti da persone che, per età e soprattutto per chiusura mentale, non hanno la più pallida idea della realtà che hanno in mano.
Vedendosi scivolare di mano le redini del controllo sociale, vanno sul sicuro, gestendo le cose come venivano gestite "ai loro tempi", finendo per affrontare la contemporaneità con metodologie vecchie di almeno vent'anni.
E se qualcosa va storto?
Se, dopo tutto il lavoro svolto, le generazioni per cui la "classe dominante" si adopera (nella sua testa in maniera estremamente corretta, perché lavora "come si faceva ai tempi") si dimostrano insoddisfatte, ribelli, insubordinate?
La totale incapacità di ammissione di colpa (o di messa in dubbio) delle persone che fanno "come si dovrebbe fare, come si è sempre fatto" le spinge inevitabilmente a trovare la fonte delle ribellioni giovanili in eventuali "influenze esterne" che le hanno plagiate, quando in realtà sono "solo" nuovi orizzonti che illuminano il loro immaginario, prima che il "grande" di turno spenga brutalmente la luce: è colpa dei videogiochi, dei fumetti, della musica.
Dei cartoni animati giapponesi violenti, come Akira.
Fa parte della natura umana cercare una spiegazione a tutti i costi, pur di non affrontare la dura realtà che ci sbatte in faccia il nostro fallimento dovuto al non essere "contemporanei": una spiegazione laterale, confortevole, che dia la colpa a qualcun altro, a qualcos'altro, o alla mancanza di esso.
Si cerca il problema nella mancanza di ideali, di tradizioni, si cerca una soluzione nella religione (il campo che più di tutti necessiterebbe di adeguarsi ai tempi e il campo che meno di tutti lo fa, peraltro), nelle tradizioni contro il "declino moderno".
E si dà dei teppisti ("punk" in inglese) a quei giovani che cercano di liberarsi da queste costrizioni obbligatorie e insensate.
Rappresentando tutti questi malesseri, problemi, malcostumi, Akira dipinge perfettamente i dolori di intere generazioni, e riesce ad essere straordinariamente attuale anche dopo più di trent'anni, anche ora che ci troviamo, ironia della sorte, proprio nell'anno in cui si svolgono le vicende.
E lo fa proprio dal punto di vista dei "punk", dando peraltro una svolta decisiva a un genere quasi omonimo: il cyberpunk, che verrà profondamente definito da quanto mostrato nella pellicola di Otomo.
Stiamo, quindi, parlando non solo di una pietra miliare della fantascienza, ma anche e soprattutto di un'analisi e rappresentazione sociale di rara accortezza, che fa quasi (quasi) scivolare in secondo piano lo straordinario livello tecnico di quella che ai tempi è stata la pellicola anime più costosa della sua epoca.
La città di Tokyo, ricostruita dopo una devastante esplosione che ha dato il via alla conclusasi Terza Guerra Mondiale, si appresta ad ospitare delle improbabili Olimpiadi in Giappone nel 2020, nonostante la corruzione, la violenza e la depravazione stiano distruggendo sia i quartieri più malfamati che la più elevata classe politica.
Assurdo, vero?
Shotaro Kaneda e la sua banda di studenti motociclisti pattugliano le strade lanciandosi in risse a piedi e su ruote con le gang rivali, ignari del fatto che presto si ritroveranno coinvolti in un'operazione segreta che potrebbe mettere in pericolo il destino del pianeta...
C'è tanta attenzione per la società contemporanea e una grandissima dose di preveggenza in Akira, diretto dall'autore del manga originale Katsuhiro Otomo: negli anni '80, il Giappone stava vivendo uno shock culturale fortissimo, a causa delle vecchie generazioni tradizionaliste ancorate ai piani alti della società e una contemporanea ascesa di giovani sempre più ribelli e aperti mentalmente, grazie alle influenze delle culture occidentali sempre più radicate nell'immaginario dei ragazzi e sempre più osteggiate dai "grandi".
D'altronde, è provato che più un adolescente viene vessato da regole troppo vecchie rispetto alla sua epoca, più cercherà di ribellarsi ad esse, e stiamo parlando di una storia scritta in un luogo e in un tempo in cui avere capelli di un qualsiasi colore diverso dal nero (che è il colore "genetico" giapponese) equivaleva a dichiararsi un delinquente, con relative punizioni (anche corporali) da parte delle autorità scolastiche e non.
Parolacce in inglese scritte ovunque sui muri, vecchi juke-box che suonano i Doors, palesi prese in giro delle autorità babbee: tutto in Akira è straordinariamente punk (lo so, i Doors non fanno punk, ma ci siamo capiti) e trasuda di un senso di liberazione dalle antiche convenzioni e costrizioni della sacra tradizione giapponese (di cui peraltro è composta gran parte della colonna sonora, fatta di musiche che sembrano uscite dal teatro Noh), un'autentica sfida a quei "grandi" che sanno solo mettere bavagli alle generazioni più giovani, rovinandone il potenziale e causandone la degenerazione per poi lamentarsi di quella stessa degenerazione dandone la sola colpa ai giovani stessi.
Si dice che i peccati dei padri ricadano sui figli, ed è esattamente questo il succo: come si può pretendere che una generazione che guarda alle meraviglie del mondo con occhi brillanti non combatta in tutti i modi per ribellarsi, se questo mondo (di possibilità, culture, curiosità, avventure) gli viene negato da persone che non capiscono l'ampiezza della visione contemporanea perché sono troppo vecchie (più dentro che fuori), troppo chiuse, troppo ancorate a concetti che non si possono applicare alle nuove generazioni?
Qualunque popolazione che veda i suoi diritti negati senza consenso si ribellerà, e la ribellione è sempre, in un modo o nell'altro, violenta, e in proporzione a quanto violenta è l'oppressione.
Questa spirale discendente porta sempre alla nascita di individui identificati come "deboli" a causa della loro naturale sensibilità, del loro contesto personale, del loro carattere, che spesso si ritrovano a un bivio tra una degenerazione più marcata e incontrollata rispetto ai loro simili e il venire fagocitati da un mondo troppo incompatibile con la loro natura, e questo ha come conseguenze gli episodi più sanguinosi di ribellione giovanile: d'altronde, quante stragi sono state perpetrate da persone la cui fragilità è stata spinta talmente allo stremo dal causare non una rottura, ma un'esplosione?
Ed è proprio questa la fonte di tutti i guai, in Akira: cosa succede se in una società come quella si sviluppa una "mina vagante" pronta a esplodere appena innescata?
Il problema è sempre lì, sia nel 2019 reale che in quello fantascientifico del film anime in esame: i ruoli di massima importanza, nella società, che si tratti di classe politica, istruzione, o gerarchie di lavoro più elevate, sono svolti da persone che, per età e soprattutto per chiusura mentale, non hanno la più pallida idea della realtà che hanno in mano.
Vedendosi scivolare di mano le redini del controllo sociale, vanno sul sicuro, gestendo le cose come venivano gestite "ai loro tempi", finendo per affrontare la contemporaneità con metodologie vecchie di almeno vent'anni.
E se qualcosa va storto?
Se, dopo tutto il lavoro svolto, le generazioni per cui la "classe dominante" si adopera (nella sua testa in maniera estremamente corretta, perché lavora "come si faceva ai tempi") si dimostrano insoddisfatte, ribelli, insubordinate?
La totale incapacità di ammissione di colpa (o di messa in dubbio) delle persone che fanno "come si dovrebbe fare, come si è sempre fatto" le spinge inevitabilmente a trovare la fonte delle ribellioni giovanili in eventuali "influenze esterne" che le hanno plagiate, quando in realtà sono "solo" nuovi orizzonti che illuminano il loro immaginario, prima che il "grande" di turno spenga brutalmente la luce: è colpa dei videogiochi, dei fumetti, della musica.
Dei cartoni animati giapponesi violenti, come Akira.
Fa parte della natura umana cercare una spiegazione a tutti i costi, pur di non affrontare la dura realtà che ci sbatte in faccia il nostro fallimento dovuto al non essere "contemporanei": una spiegazione laterale, confortevole, che dia la colpa a qualcun altro, a qualcos'altro, o alla mancanza di esso.
Si cerca il problema nella mancanza di ideali, di tradizioni, si cerca una soluzione nella religione (il campo che più di tutti necessiterebbe di adeguarsi ai tempi e il campo che meno di tutti lo fa, peraltro), nelle tradizioni contro il "declino moderno".
E si dà dei teppisti ("punk" in inglese) a quei giovani che cercano di liberarsi da queste costrizioni obbligatorie e insensate.
Rappresentando tutti questi malesseri, problemi, malcostumi, Akira dipinge perfettamente i dolori di intere generazioni, e riesce ad essere straordinariamente attuale anche dopo più di trent'anni, anche ora che ci troviamo, ironia della sorte, proprio nell'anno in cui si svolgono le vicende.
E lo fa proprio dal punto di vista dei "punk", dando peraltro una svolta decisiva a un genere quasi omonimo: il cyberpunk, che verrà profondamente definito da quanto mostrato nella pellicola di Otomo.
Stiamo, quindi, parlando non solo di una pietra miliare della fantascienza, ma anche e soprattutto di un'analisi e rappresentazione sociale di rara accortezza, che fa quasi (quasi) scivolare in secondo piano lo straordinario livello tecnico di quella che ai tempi è stata la pellicola anime più costosa della sua epoca.
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